Tunisia -
diario di un viaggio, febbraio 2012
Io e Laura
Verduci partiamo per la Tunisia, dopo circa un anno di lavoro legato alle tematiche
storiche delle migrazioni da, e verso la Tunisia.
VISIONI:
E’ possibile
arrivare in un posto e non essere trascinati immediatamente nella narrazione.
Si. Qualsiasi cosa e dovunque si narra come fa
la corrente del fiume che non si zittisce mai.
Ma ci sono
posti come la Tunisia o la Sicilia che travolgono lasciandoti senza fiato.
Il viaggio ha
due direzioni e non solo fisicamente: i viaggi sono due e si intrecciano.
L’arrivo lo salto
in questo diario. Anche se gli arrivi sono le porte di ingresso. Dico soltanto
che ad aspettarci alla Goulette c’è Marta Bellingreri, che conduce diverse
ricerche sulle tematiche delle migrazioni e vive a Tunisi per adesso.. Siamo
ospiti da Fausto Giudice. Un traduttore, un giornalista, un eclettico. Parla 10
lingue forse, comunque tante. È figlio di italiani nati a Tunisi. Lui sarà una
delle voci narranti per la ricerca che sto conducendo sulla storia degli
immigrati siciliani in Tunisia, finalizzata alla realizzazione di un
documentario, che intreccia queste memorie ad un mio personale percorso.
Domenica
Tunisi. Il lunedì partiamo per SHOUSHA CAMP: un campo profughi messo su dalle
Nazioni Unite in accordo con il governo Tunisino, per accogliere i fuoriusciti
civili, la maggior parte neri africani, dalla Libia durante e dopo il
conflitto.
Entriamo a
Shousha il 7 febbraio 2012. In auto, quella di Laura Verduci, che abbiamo
imbarcato da Palermo.
SHOUSHA CAMP si trova praticamente nel deserto a settecento kilometri da Tunisi, nel
sud, ai confini con la Libia.
Da Tunisi il
paesaggio cambia gradualmente fino a diventare africano.
Attraversiamo
decine e decine di posti tra città e villaggi,
specialmente quelli che, una volta abbandonata la autostrada, ti trovi a
tagliare su una route che arriva più o meno dritta fino a Ben Garden, la città´di
frontiera, l’ultima prima del confine libico e più vicina al campo profughi.
Dormiamo a Ben Garden.
Durante il
viaggio ci fermeremo per una sosta, ospiti a pranzo da una famiglia che Marta
conosce. Una ospitalità´grande. Couscous, caffè arabo, Kenoun per riscaldarsi
le mani.
Durante il
viaggio lungo la strada chiunque vende tutto. Davvero tutto. Chi benzina, chi
frutta o bevande o pane. Immaginate.
Ma torniamo a
Ben Garden. Arriviamo di notte. Ad aspettarci due ragazzi di ONG che erano
entrati già al campo e che ci informano su diversi aspetti. Per quanto già
forte come impatto l’arrivo notturno, sarà incredibile come, dopo poche ore di
sonno, ci apparirà il paese l’indomani mattina.
Saranno le
solite visioni occidentali forse che ti assalgono: il modo di vita, i vestiti
tradizionali portati quotidianamente, le botteghe, i colori, gli odori. Ma la
cosa che emerge più forte è sentire che questo villaggio grande è diverso da
altri. Siamo in Libia, anche se il territorio è interno ai confini tunisini. Ma
è alla Libia che pensi quando ti rendi conto di essere in una dimensione più
sconosciuta e chiusa. E’ un pullulare di affari. Gente sventola mazzi di soldi
tunisini o libici per il cambio. Lungo il ciglio della strada, tra un brace con
carne di montone e un altro negozio di fortuna che ti vende benzina,
elettrodomestici e ancora cambio di soldi. Sbucano fuori da ogni parte. Gente
dalla faccia scolpita e scura. Brutti ceffi dicono da altre parti della
Tunisia. Ci chiedono: “ siete stati a BEN GARDEN?” – ridono.
A Ben Garden
non si vedono turisti occidentali.
Anche se il
paesaggio è cosi bello e affascinante. Striature di sabbia sull’asfalto.
Sabbia.
Intorno e andando poi verso Shousha Camp, quando ti lasci alle spalle gli
ultimi mercanti sulla strada, vedi una distesa gialla e poi bianca all’orizzonte.
Il deserto comincia lì. Te lo annunciano immediatamente i dromedari sulla via
che incontri. Quelli li vediamo entrare e uscire dal Campo Profughi. I cani gli
abbaiano. E i dromedari se ne fottono.
Infatti la
mattina dopo l’arrivo e dopo aver dormito in un albergo molto arabo, partiamo,
dopo poche ore di sonno alle spalle, per il Campo.
Dopo aver
attraversato tutto quello che vi dicevo, alcuni kilometri prima di Shousha
veniamo fermati a due, tre ceck point dell’esercito Tunisino. Ci fermeranno
soltanto quelle volte. Poi saremo per sempre una delegazione di giornalisti
italiani, e non ci fermeranno più. Un saluto guardandoci negli occhi, e via…si
passa, si spassa e si ripassa…Ben
Garden verso Shousha e viceversa.
Il Campo si
presenta come una immensa tendopoli in mezzo alla sabbia più sabbia. E’ cosi
grande che si vede già kilometri prima. Impressionante.
Decidiamo di
entrare, abbiamo una camera e un microfono.
Ci dicono di
parlare col colonnello, responsabile del campo. L’esercito comanda. La polizia,
dopo la caduta di Ben Ali, non è tanto credibile. I militari sono dovunque.
Entriamo nella
loro tenda. Il colonnello è diretto e ci dice: non entrerete mai senza un
autorizzazione ministeriale.
In un attimo
siamo già fuori. Intanto è impossibile fare riprese. Una tempesta di sabbia ci
accoglie e ci avvolge sin dal mattino.
Siamo attenti,
ma mai davvero tesi. Tutto viene affrontato con calma e decisione. Abbiamo
contatti con persone dentro il campo. Lungo la recinzione esterna dello stesso,
tunisini di Ben Garden e migranti, ormai abitanti di lungo corso, hanno
organizzato un mercato di tende in cui si vende di tutto ciò che può servire.
Dei tunisini, ci diranno di lì a poco, che sono anche spie dell’esercito.
Guardano e riferiscono. E’ difficile comunque fare riprese, non solo per la
tempesta di sabbia. Capiamo di essere monitorati e controllati costantemente.
Intanto
arrivano fuori alcuni africani che sapevano del nostro arrivo. Questi ci
raccontano molto. Filmiamo dentro una tenda
tra le tende del mercatino. Una vuota, abbandonata, dell’UNHCR.
Shousha
infatti è un campo UNHCR. Quest’ultimo si occupa delle richieste di asilo e
resettement, cioè il reinserimento delle persone in altri stati, anche europei.
Tutto con lunghe attese.
Sono presenti
altre organizzazioni: OIM, CDR, UNICEF, ecc..
Tra un andare
e venire dal campo, in attesa di una risposta relativa all’accesso che non arriverà
in giornata si è fatta sera. Siamo ancora lì fuori. L’esercito ci guarda ma non
ci molesta.
Decidiamo di partire
per Zarzis, dove abbiamo un incontro e una cena. 100 kilometri. Ma al campo
bisogna tornare a tutti i costi la mattina dopo.
La sera siamo a Zarzis, ceniamo e dormiamo di
fronte il mare, quasi sulla spiaggia. L’indomani, entriamo a Shousha. Entriamo
perché ci muoviamo all’interno, diciamo così, di sistemi di relazione e del
nostro savoir faire
A guidarci
dentro il campo, su una jeep, un responsabile dell’ UNHCR.
Una emozione
di nuovo forte.
Io filmo.
Quando filmo sono strumento.
Devo prendere
quel che posso.
Ci danno un
tempo molto limitato.
Riusciamo ad
entrare pure in qualche tenda, tra mamme e bambini simpaticissimi, con i quali
troviamo, in quello spazio ridottissimo e narrazioni drammatiche, il tempo di
giocare e guardarci.
Passiamo
attraverso la tendopoli velocemente. Si ha la dimensione di un villaggio in cui
la gente prova ad organizzare la propria quotidianità, originale e spontanea
rispetto quella guidata dai veri percorsi che il sistema ha confezionato per
loro: la scuola, la mensa, i vestiti, ecc..
Vorremmo fare
di più,
Avere molto più
tempo.
Non entreremo
nelle tende, ma percepiamo tanto. Comunque una tenda è un luogo in cui riversi
tutto quel che possiedi in quel momento.
Le Tende si somigliano. In Sicilia ne abbiamo viste tante e con più
facilità.
Immaginate.
Qualcuno di noi tre giura di avere visto tra le tende e la rassegnata
disperazione, una antenna satellitare e chissà cos’altro ancora. Il deserto si sa
ti fa vedere cose..
Tante le
persone di diverse nazionalità ed etnie. Una babele di linguaggi.
Siamo stati lì.
A Shousha
Camp.
In quel tempo abbiamo provato a guardare negli
occhi chi in quella “città” forse ha paura di restarci troppo tempo.
LASCIAMO
SHOUSHA. CI PENSEREMO ANCORA A LUNGO.
INIZIAMO LA
RISALITA VERSO TUNISI. LASCIAMO MARTA A MEDNINE. NOI PROSEGUIAMO. NOVE ORE DI
VIAGGIO CI ASPETTANO. ARRIVEREMO A NOTTE FONDA.
arrivederci al prossimo diario...
Enrico Montalbano
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